Quando ho ricevuto il mio primo vero incarico di traduzione (all'alba del 2006) ero talmente felice che avrei eseguito il lavoro anche gratuitamente. Ai tempi avevo ancora un impiego fisso e a tempo indeterminato e la traduzione rappresentava un'occupazione part-time per me, forse, più di tutto, una passione.
Ho sempre desiderato diventare traduttrice, sarebbe stata la logica conseguenza del mio diploma in lingue. Purtroppo, però, le scuole per interpreti e traduttori costavano un botto e non ho potuto seguire quell'iter. Fortunatamente il lavoro che ho trovato subito dopo il diploma mi ha permesso di confrontarmi quotidianamente con clienti stranieri e di non relegare in un cassetto le conoscenze tanto faticosamente acquisite. Dopo qualche anno mi sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza e mi sono laureata in legge. Studiare e lavorare a tempo pieno non è certo il binomio perfetto, ma ce l'ho fatta e non rimpiango i fine settimana e le serate trascorse sui libri, che fatica! E che soddisfazione aver raggiunto il traguardo. Mi sono laureata nel 2004 e dopo un paio d'anni ho incominciato a specializzarmi nel campo della traduzione, ma di questo ho già scritto in un altro post. Questa premessa per far capire quanto entusiasmo mi animasse agli albori della professione... Come ho scritto sopra avrei lavorato gratuitamente pur di riuscire a ricavare una mia nicchia e ad entrare ufficialmente e non solo in punta di piedi nel mondo della traduzione. Col senno di poi mi rendo conto di come sbagliassi. Mai svendersi, mai offrire i propri servizi ad una tariffa inferiore a quella che ci permetterebbe di sopravvivere una volta pagate tasse, versati contributi e quant'altro. E sì, il problema è proprio questo: le tasse! Nel decidere quale tariffa applicare al proprio lavoro è sempre necessario calcolare quanto ci servirebbe per poter vivere, tenendo conto del fatto che se siamo malati nessuno ci paga e a dicembre non percepiamo la tredicesima e le vacanze (vogliamo metterci almeno tre settimane l'anno?) sono un altro periodo di inattività e, quindi, di mancato guadagno. Dai miei calcoli e visti i costanti aumenti di prezzi, nonché INPS, Irpef, Irap e chi più ne ha più ne metta, per poter vivere in modo decoroso e potersi permettere anche qualche frivolezza si dovrebbero incassare almeno 3500 euro al mese. Mi chiedo, quindi, come si possa vendere il proprio lavoro a 2, 3 o 4 centesimi a parola. Finché verranno offerte queste tariffe al ribasso il mercato della traduzione soffrirà, i traduttori soffriranno e tutto andrà a scapito della qualità. Non voglio dire che chi lavora a tariffe basse non sia in grado di svolgere un buon lavoro, ritengo, però, che per arrivare alla fine del mese chi applica siffatti prezzi debba lavorare a ritmo decisamente più sostenuto, ovvero produrre di più per far pagare di meno e a soffrirne sarà, quindi, la qualità. Se ci pensiamo bene, è assurdo che in tanti casi (e me ne sono capitati proprio tanti) sia il cliente a stabilire il prezzo: o così o ne trovo altri mille disposti a lavorare a questo prezzo. In nessun'altra professione esiste qualcosa del genere, per caso qualcuno dice all'idraulico o all'elettricista o all'avvocato: io ti dò così, se ti sta bene, altrimenti ne cerco un altro? Io ho detto no a questa politica. Non è facile, ma se riteniamo di essere dei professionisti e lo siamo, è l'unica via da percorrere.